È risaputo che il rischio di sviluppare il cancro della pelle è associato all'esposizione alle radiazioni ultraviolette, tuttavia fino a poco tempo fa non era chiaro se le lampade UV utilizzate nei saloni delle unghie abbiano qualcosa a che fare con questo. Un nuovo studio afferma che queste lampade non comportano un tale pericolo.
Nello studio, gli scienziati hanno esaminato tre lampade ultraviolette comunemente usate per asciugare la manicure. Hanno misurato la radiazione in termini di possibili effetti cancerogeni e calcolato le "dosi UV" che l'utente avrebbe ricevuto durante una sessione di asciugatura delle unghie di 10 minuti.
Non tutte le lampade UV sono uguali. Ad esempio, ci sono lampade utilizzate per il trattamento della psoriasi e studi hanno dimostrato che il trattamento con "UVB a banda stretta" aumenta solo leggermente la probabilità di sviluppare il cancro della pelle, rispetto ai lettini abbronzanti più dannosi.
Per quanto riguarda le lampade per asciugare le unghie, un nuovo studio ha dimostrato che 13.000-40000 sessioni di asciugatura delle unghie sarebbero necessarie per una persona che riceva la stessa dose di UV che un paziente affetto da psoriasi riceve durante il trattamento con luce ultravioletta. E questo equivale al fatto che una volta alla settimana farai manicure per 250 anni.
Questi risultati indicano che l'uso di tali lampade UV "non dà un aumento clinicamente significativo del rischio di cancro", scrivono i ricercatori.
Gli scienziati hanno già considerato questo problema in precedenza. Quindi, nel 2009, i ricercatori hanno concluso che le lampade a raggi ultravioletti per manicure erano un fattore di rischio per due donne che hanno sviluppato il cancro della pelle, noto come carcinoma a cellule squamose, sul dorso delle mani. Tuttavia, come hanno notato gli autori di un nuovo studio, nel 2009 gli scienziati non hanno misurato la radiazione ultravioletta delle lampade.
"I dermatologi e i medici di base possono convincere i pazienti della relativa sicurezza di questi dispositivi", scrivono i ricercatori in un articolo della rivista Investigative Dermatology.
